Inghilterra, anni ’70.
A Macclesfield, a pochi chilometri da Manchester, Ian Curtis…
A Macclesfield, a pochi chilometri da Manchester, Ian Curtis…
Inghilterra, anni ’70.
A Macclesfield, a pochi chilometri da Manchester, Ian Curtis appena ventenne, si unì ad altri tre ragazzi – Peter Hook, Bernard Sumner, Stephen Morris – per formare i Joy Division, band di culto che segnò l’inizio della scena post-punk.
Il fotografo Anton Corbijn esordisce così al cinema con la storia di Ian Curtis dopo aver conosciuto i Joy come fotografo, proprio negli anni ’70.
Liberamente tratto dal romanzo autobiografico di Deborah Curtis, “Touching From a Distance”, il film di Corbijn non è un documento sul mito.
A dire il vero, dal punto di vista narrativo, sembra non essere niente. Non è la storia intima di Curtis, non è la storia dell’Inghilterra del post punk, non è la storia dei Joy. E’ la storia di un ragazzo, dei suoi problemi emotivi, del suo rapporto con l’epilessia, della ricerca del sè. È un film sulla perdita del controllo e la necessità di riacquisirlo come esigenza di vita, atto di potenza, atto di presenza (“She’s lost Control…”)
Girato a colori e in seguito trasferito in B/N per rispettare la memoria visiva legata al gruppo, Control è un film toccante, con un bravissimo attore protagonista (Riley) capace di riproporre il carisma e il tormento di Curtis.
La macchina da presa resta sensibile e attenta alla luce, claustrofobica verso Riley stretto in primi piani sensibili allo sguardo, alla pelle, ai gesti dell’attore – personaggio, fino al raggiungimento dell’atto di controllo. Solo un’ inquadratura è lì per preannunciarlo. La macchina da presa, stretta sul personaggio fino ad allora, esce discretamente dalla storia filmica per riportarci a quella conosciuta e acquisita, senza velleità alcuna.
A Macclesfield, a pochi chilometri da Manchester, Ian Curtis appena ventenne, si unì ad altri tre ragazzi – Peter Hook, Bernard Sumner, Stephen Morris – per formare i Joy Division, band di culto che segnò l’inizio della scena post-punk.
Il fotografo Anton Corbijn esordisce così al cinema con la storia di Ian Curtis dopo aver conosciuto i Joy come fotografo, proprio negli anni ’70.
Liberamente tratto dal romanzo autobiografico di Deborah Curtis, “Touching From a Distance”, il film di Corbijn non è un documento sul mito.
A dire il vero, dal punto di vista narrativo, sembra non essere niente. Non è la storia intima di Curtis, non è la storia dell’Inghilterra del post punk, non è la storia dei Joy. E’ la storia di un ragazzo, dei suoi problemi emotivi, del suo rapporto con l’epilessia, della ricerca del sè. È un film sulla perdita del controllo e la necessità di riacquisirlo come esigenza di vita, atto di potenza, atto di presenza (“She’s lost Control…”)
Girato a colori e in seguito trasferito in B/N per rispettare la memoria visiva legata al gruppo, Control è un film toccante, con un bravissimo attore protagonista (Riley) capace di riproporre il carisma e il tormento di Curtis.
La macchina da presa resta sensibile e attenta alla luce, claustrofobica verso Riley stretto in primi piani sensibili allo sguardo, alla pelle, ai gesti dell’attore – personaggio, fino al raggiungimento dell’atto di controllo. Solo un’ inquadratura è lì per preannunciarlo. La macchina da presa, stretta sul personaggio fino ad allora, esce discretamente dalla storia filmica per riportarci a quella conosciuta e acquisita, senza velleità alcuna.
Angleterre années 70.
A Maccllesfield, a quelques kilometres de manchester, Ian Curtis la vingtaine a peine, se joint a trois copains – Peter Hook, Bernard Sumner, Stephen Morris – pour former les Joy Division, groupe culte du début de la scène post-punk.
Le photographe Anton Corbijn débute ainsi au cinéma avec l’hitsoire de Ian Curtis, après avoir connu les Joy comme photographe dans les années ’70.
Librement intérprété du roman autobiographique de Deborah Curtis, “Touching From a Distance”, le film de Corbijn, n’est pas un document sur le mythe.
A vrai dire du point de vue narratif ça ne semble etre rien. Ce n’est pas l’histoire intime de Curtis, ce n’est pas l’hitoire de l’Angleterre du post-punk, ce n’est pas l’histoire des Joy. C’est l’histoire d’un jeune, de ses problèmes émotifs, de son rapport avec l’épilépsie, de la recherche de soi. C’est un film sur la perte de controle, et la nécéssité de e récuperere comme exigence de vie, acte de pouvoir et de présence (“She’s lost Control…”).
Tourné en couleur, puis transféré en noir et blanc pour respecter la mémoire visuelle du groupe, Control est un film touchant avec un acteur capable de reproposer le charisme et le tourment de Curtis.
La caméra, claustrophobe enferme Riley dans des gros plans et est sensible aux gestes de l’acteur – personnage, jusqu’à son acte de controle.
Seulement un cadre passe plusieurs fois dans le film pour le préannoncer. La caméra, étroite sur le personnage jusqu’à ce moment, sorte de l’histoire filmique pour nous rapporter à celle connue et acquise, sans velléité aucune.
Interview – Control – Anton Corbijn – September ’07ultima modifica: 2008-03-18T05:55:00+01:00da
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